CANTO XXVI DELL’INFERNO

Siete giunti al canto XXVI: ci troviamo nell’ottavo cerchio, quello dei consiglieri fraudolenti. 

Qui vengono puniti coloro che in vita agirono di nascosto, usando la parola per ingannare e infiammare gli animi e facendo cattivo uso del proprio ingegno; ora sono celati in eterno in una lingua di fuoco che li avvolge. 

Alla richiesta di Virgilio, vediamo la fiamma che comincia ad agitarsi come fosse una lingua: è l’anima di Ulisse, che prende a raccontare il proprio viaggio nel Mediterraneo. 

Questi che ascolterete sono i versi celeberrimi dell’”orazion picciola” ai compagni, prima dell’altrettanto famosissimo “folle volo”…

‘O frati’, dissi ‘che per cento milia 

perigli siete giunti a l’occidente,

a questa tanto picciola vigilia 

d’i nostri sensi ch’è del rimanente 

non vogliate negar l’esperïenza,

di retro al sol, del mondo sanza gente. 

Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza’.  

Questi versi famosi e noti a tutti sembrano un nobile appello perché l’uomo non tradisca la sua missione più alta: “per seguir virtute e canoscenza” è la perfetta sintesi dantesca per dire che conoscere è lo stesso che possedere la virtù.

 Ma nel discorso dell’abile Ulisse resta sottinteso che questa virtù è sinonimo di audacia gonfia di smisurato orgoglio: essa contraddice la virtù morale che si nobilita, invece, con l’umiltà. 

Da notare che quell’orazion viene pronunciata subito dopo il passaggio delle fatali colonne d’Ercole. Commesso il peccato (cioè violato l’ordine divino di  non proceder oltre) con quelle parole apparentemente nobili e appassionanti, che esaltano i compagni anche se sono ormai vecchi e tardi, Ulisse elimina in essi la prospettiva della colpa e dunque il bisogno del pentimento. 

Con il suo Ulisse, Dante pone il problema drammatico e ancora oggi attualissimo, dei rapporti tra Scienza e Morale, Scienza ed Etica. 

Ulisse si danna perché non si riconosce altra Morale che quella legata alla sua Scienza, altra divinità che quella del proprio Io. In ciò sta la sua Follia.

Classe III LSA

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