CANTO III DELL’INFERNO

Col terzo canto del poema comincia il vero e proprio viaggio di Dante nell’aldilà.  Dopo aver superato la porta dell’inferno, sulla quale un’insegna annuncia l’ingresso  nel regno del dolore eterno, il poeta scorge la folla di anime dei peccatori in attesa di  oltrepassare l’Acheronte e sulla riva del fiume incontra il traghettatore infernale  Caronte.  

Ed ecco verso noi venir per nave 

un vecchio, bianco per antico pelo, 

 gridando: “Guai a voi, anime prave!  

Non isperate mai veder lo cielo: 

i’ vegno per menarvi a l’altra riva 

 ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo”.  

Dante descrive Caronte in modo realistico e drammatico. I tratti più caratteristici del  suo aspetto fisico – la barba e i capelli bianchi, i minacciosi occhi di bragia – ripresi  dalla descrizione che ne aveva fatto Virgilio nell’Eneide, lo rendono un personaggio  dall’aria maestosa; nella Commedia, però, il nocchiero infernale appare pieno di  collera, come si vede dalla foga con cui percuote i dannati e dalle grida offensive che  lancia loro. Ormai il destino di quelle anime è segnato dai tormenti eterni e quindi  non meritano alcuna pietà. 

L’urlo cieco di Caronte, che squarcia l’oscurità dell’aria senza stelle e senza tempo  dell’inferno, tra i “sospiri, pianti e alti guai” delle anime perse, sembra ricordare  dolorosamente – anche a noi che siamo ancora in vita – che dopo la morte non c’è  più tempo per scegliere il Bene, come ammonisce con tono tragico la proverbiale  scritta: “Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate”.  

Qui e adesso, perciò, senza rimandare, ciascuno di noi può costruire ogni giorno la pace e coltivare la speranza di vedere il Cielo.

Classe III IPIA

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