DANTEDI – scrivere per salvarsi
Nel canto XXVI del primo regno visitato da Dante nella Commedia, il Sommo Poeta incontra, guidato dal “duca” Virgilio, i consiglieri fraudolenti, puniti nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono costretti a muoversi come lingue di fuoco. Questi peccatori sono condannati per aver ingannato gli altri con le parole. In una lingua biforcuta si trovano Ulisse e Diomede, a cui Virgilio si propone di parlare per evitare che rifiutino di parlare con Dante.
“‘O frati,’ dissi, ‘che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza’.”
(“Inferno”, Canto XXVI)
Dopo una captatio benevolentiae da parte del “maestro”, Ulisse inizia a raccontare la sua storia, identificando come causa della sua morte la troppa tracotanza nel disubbidire ai limiti imposti dagli dei, le colonne d’Ercole. Ulisse rappresenta l’uomo moderno, volenteroso di conoscere qualsiasi cosa e capace di spingersi a rischiare la vita per farlo.
Infatti, dopo essere tornato ad Itaca in seguito alla guerra di Troia, decide di non rimanerci, ma di ripartire per un nuovo viaggio, convincendo con la sua dialettica anche i vecchi compagni, restii nel seguirlo. Per Dante questo “folle volo” simboleggia uno spregiudicato uso della ragione, che ha portato lui stesso a perdersi nella selva oscura, un uso che non può portare alla salvezza se non affiancato dalla fede nella divinità.
Dante anche in questo canto riconosce che alcuni dei peccati che descrive lo hanno toccato personalmente, fa un viaggio per purificarsi da queste colpe e invita anche chi legge la sua opera a compiere un viaggio interiore per purificarsi e salvarsi.
Penserini Nicolò IV Liceo Scientifico