Una volta per tutte!

E un’altra Sara, a partire dallo stesso testo, scrive …

Non so se si trascuri volutamente il fatto che dietro agli schermi ci siano comunque  delle persone reali o se sia di convinzione comune che i rapporti via social siano  contaminati e veicolati da robot che uccidono i sentimenti; noi della generazione Z  dovremmo essere grati (in un certo senso) alla pandemia perché ha dimostrato che le  relazioni online non sono completamente da denigrare. Siamo arcistufi di sentirci fare  discorsi riciclati, come se non conoscessimo il valore dei legami “reali” o, peggio  ancora, come se il mondo online e quello offline non potessero coesistere. Siamo nati  in un periodo di transizione e, di conseguenza, il nostro modo di relazionarci si è  adattato; questo non determina l’incapacità di parlare faccia a faccia con qualcuno, al  contrario, ha contribuito a rendere il nostro modo di porci estremamente versatile in  ogni situazione. Questa differenza o difficoltà (mondo online/offline) la sentono di più gli adulti che, guarda caso, sono  gli stessi che poi danno spunti nello scrivere temi come questo, costringendoci a  ribadire concetti che per noi sono scontati. È ovvio che basarsi solo sulle piattaforme  social sia sbagliato, ma è altrettanto sbagliato non usare a pieno i mezzi a nostra  disposizione per espandere la nostra rete di relazioni, conoscenze e amicizie che  (altrimenti) non avremmo opportunità di fare. Pensate davvero che preferiremmo  una videochiamata su FaceTime ad un’uscita con gli amici che stanno a un quarto  d’ora da noi? Esattamente qual è l’idea distorta di tecnologia che passa? I rapporti tra  le persone sono una cosa essenziale e qui nessuno lo sta negando. Un emoticon a  forma di cuore è meglio di un abbraccio? No. Un video divertente inviato su Instagram  fa far pace tra amici dopo un litigio? No. Un regalo spedito su Amazon è meglio  dell’amore dimostrato? No. Ci siamo dimenticati come si dica “ti voglio bene” senza  avere una tastiera e uno schermo davanti? Neanche.  

La società è pro a tutto ciò che facilita e agevola, e qui, entrano in categoria anche i  social. “Il mercato ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l’opportunità di  enormi profitti” questa mi sembra una frase buttata lì per far ricadere sui social la  responsabilità di eventuali scompensi emotivi da teenager, ma è consuetudine, ormai, usare il mondo online come capro espiatorio;  la verità è che ognuno di noi è perfettamente in grado di scegliere come usare le  piattaforme e le influenze sono sopravvalutate.  

C’è chi commette l’errore di confondere la vita reale con quella virtuale o chi non  riesce a bilanciare l’una con l’altra, ma come con tutte le cose, non possiamo farne “di  tutta l’erba un fascio”. Sta sempre all’utente decidere e saper distinguere i due mondi.  Il virtuale è parte integrante della vita reale (e chi cerca di negarlo perde in partenza),  è un ausilio, niente di più. La fomo (Fear of missing out) ovvero, la  “paura di essere tagliati fuori”, e le altre ansie, stando alle dichiarazioni di Bauman, sarebbero la  maggiore preoccupazione legata alla pervasività dei social… smentisco e dissento. Il  fatto che le relazioni online non prevedano la presenza fisica o il “faccia a faccia” può  essere, addirittura, un lato positivo. Per le persone più timide il fatto di avere uno schermo rappresenta un modo di esprimersi confezionato  su misura e perfettamente compatibile con il periodo storico, riduce anche eventuali  problemi, come l’ansia sociale. Baipassando la teoria “dei robot cancella emozioni”, mi  sembra che nessuno fosse contrario alle lettere di una volta: ecco, gli amici solo  virtuali sono l’equivalente degli amici di penna. La problematica  principale di cui, udite udite, sono a conoscenza anche gli adolescenti, è che spesso e volentieri, la  parola, sui social, precede il pensiero, infatti l’immediatezza del commento virtuale è una lama  a doppio taglio, non sempre permette di pesare le parole nel modo adeguato, e non  avendo un riscontro (per esempio con l’espressione facciale) il mittente può percepire  un messaggio sbagliato. Mi sento di dire che le criticità si presentano quando la  comodità del virtuale, inizia ad essere preferita al contatto fisico (con le stesse  persone che avresti la possibilità di abbracciare semplicemente uscendo di casa), ma  visto che questo è un caso che non mi rappresenta, non posso parlarne. In sostanza  le parole del signor Bauman, con tutto il rispetto, mi sembrano estremamente  generalizzate e non adatte a descrivere quella che è la realtà della mia generazione, anzi, mirano a rincorrere una realtà che ormai è perduta.

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