Un gesto per l’Ucraina
Qui a scuola, questi giorni, abbiamo organizzato una raccolta di beni di prima necessità da inviare in zona di guerra, in Ucraina. Sappiamo che ci sono milioni di sfollati, che ci sono tante persone intrappolate nella guerra, che non riescono ad uscire dal paese.
Abbiamo deciso di fare qualcosa, un piccolo gesto, ma concreto.
La tv, internet ci danno un senso di impotenza sulla guerra, come se non potessimo far nulla.
Allora abbiamo deciso di farci forza e dare un nostro contributo. Ci siamo immedesimati nella situazione per capire di cosa potrebbero avere bisogno e abbiamo stilato una lista, dataci anche dalle associazioni umanitarie. Siamo passati nelle classi presentando il progetto e sollecitando un po’ tutti.
Il concetto centrale, credo, è che dare un qualcosa, anche se poco, aiuta prima di tutto noi stessi e poi gli altri. Il primo aiuto è di sentirci vicini, fratelli, amici del popolo ucraino. “Je suis Charlie”, gridavamo anni fa a seguito dell’attentato a stampo islamico. “Je suis Ucraina”, vogliamo gridare oggi. Noi siamo Ucraina, tutti noi siamo Ucraina, tutti noi siamo stati attaccati in modo violento, ingiusto (nel senso che la violenza non è mai giustificata). Tutti noi siamo nei bunker a patire il freddo, senza doccia, né bagno, né beni di prima necessità. Tutti noi siamo lì. Certo, loro ci sono fisicamente, noi idealmente, e fa tutta la differenza del mondo. Però, sentirci con loro, credo che sia già molto.
Ci siamo armati di impegno e abbiamo pubblicizzato tra noi questa iniziativa, attaccato volantini con il materiale da portare, con le date di raccolta. Ci siamo uniti alla raccolta organizzata dal comune di Sassocorvaro insieme alla protezione civile locale. Nella lista ci sono i beni di prima necessità: cibo a lunga conservazione, medicinali di parafarmacia e altre cose. Abbiamo preparato gli scatoloni, offerti da un’azienda locale.
Ecco, questo stupisce: la generosità. Quando c’è la guerra, o un disastro, le persone sanno veramente dare il meglio di sé.
Noi abbiamo preparato gli scatoloni, e ne abbiamo preparati tanti, contando che si sarebbero riempiti. Per qualcuno, forse, quegli scatoloni vuoti sarebbero rimasti tali: a vederne il numero sembravano un’esagerazione.
Questo mi ricorda l’arca di Noè prima del diluvio: anche lui non era stato molto preso sul serio. Oppure l’invito di Gesù ai primi discepoli a tornare a gettare le reti dopo che non avevano preso nulla.
Ora, senza divagazioni teologiche, noi abbiamo fatto il nostro, che era di preparare e cercare di coinvolgere tutti. I pacchi hanno iniziato ad arrivare dalle classi, e sono stati veramente tanti. Abbiamo diviso gli alimenti per tipologia, ogni scatolone il suo prodotto. Abbiamo messo nome in italiano ed ucraino. Quel nome in ucraino sugli scatoloni… che effetto. Quel nome indica molto. Indica che chi riceverà gli scatoloni non parla la nostra lingua, ma ha i nostri stessi bisogni, la nostra stessa fame.
Abbiamo lavorato insieme: scotch, taglierino, o “denti”, e via. Credo che ognuno abbia fatto qualcosa. Alla fine di tutto, gli scatoloni si sono riempiti, e piano piano la frenesia della preparazione è cessata. Un respiro, ci siamo guardati negli occhi, con la gioia di aver fatto qualcosa di bello, di semplice ma anche grande allo stesso tempo. Dagli omogeneizzati per bambini, ai quaderni, ai biscotti, al latte, c’è veramente un po’ di tutto. I nostri amici della Protezione Civile sono poi venuti a prendere il materiale per inviarlo.
Vorrei che i nostri amici ucraini sentissero l’amore che abbiamo per loro, l’affetto che è passato in questo gesto. C’è un tonno in scatola, ma ci sono tante lacrime. Beh, le lacrime non sono a lunga conservazione, non potevamo mandarle. I baci nemmeno. MA ci sono! Ci sono abbracci, baci, sorrisi, mani tese per aiutare! Voi vedete scatoloni ma è amore a lunga conservazione! Credeteci! Un saluto.
Prof. Francesco Violini